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"…Quando si partiva a 15, 16
anni si sapeva già a cosa si andava incontro, c’era sempre
una persona...(continua)" |
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“… Il viaggio l’ho fatto accompagnato
da mio padre, con partenza da Villar Perosa: dovevo prendere il...(continua)" |
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Chi Emigrava |
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Emigravano soprattutto i giovani, sia uomini, sia
donne, ma all’inizio del Novecento doveva ancora esserci traccia
di un fenomeno odioso come il traffico di bambini. A pagina 53 del
“Vademecum dell’emigrante” curato
dal segretariato dell’opera Bonomelli di Reims nel 1927, si
legge: |
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“1901
– Energica e fortunata azione dell’opera per combattere il traffico
dei minorenni italiani adoperati nei più gravosi ed esiziali
lavori delle vetrerie francesi…” |
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I bambini non dovevano essere impiegati solo nelle
fabbriche, Pietro Bruno, classe 1896, della valle
Stura (CN), nel libro “I piemontesi in Provenza”, racconta:
“… A dodici anni sono andato
per la prima volta a Barcelonette. Dal mio paese partiva un carro
con i bambini sopra, pagavamo una lira per persona, ci portava fino
a Pianche. Poi da Pianche a Barcelonette andavamo a piedi. A Barcelonette,
nel mese di aprile, ogni giovedì c’era il mercato dei
bambini, c’erano sempre trecento quattrocento bambini e bambine
che si affittavano, alle dieci del mattino il mercato era già
deserto. Il primo anno, dal terzo giovedì di aprile fino a
San Martino, ho guadagnato centodieci franchi, la mia padrona era
una vecchia sola, portavo le sue pecore al pascolo…”
Possiamo ipotizzare che fra i bambini del mercato di Barcelonette
ve ne fossero parecchi che provenivano dalle nostre Valli.
In seguito la situazione migliorò, Alex
Berton spiega:
“… Quando si partiva a 15, 16
anni si sapeva già a cosa si andava incontro, normalmente c’era
sempre una persona adulta che accompagnava [il ragazzo o la ragazza]
e lo introduceva al lavoro, i genitori affidavano i ragazzi a persone
conosciute…”
Spesso si emigrava in gruppo, la miseria era enorme, alcuni per non
consumare le scarpe percorrevano i viottoli di montagna a piedi nudi.
Col passare del tempo l’emigrazione da clandestina diventò
legale e spesso stanziale. Cambiarono anche i mezzi di trasporto:
si cominciò ad utilizzare il treno, l’auto, il pulmino.
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Alex Berton:
“… Mi ricordo il mio distacco
da Pragelato e quindi da mia zia, la sorella di mio papà, dai
nonni, avevo cinque anni. Sono andato in taxi da Pragelato fino a
Oulx , lì mi hanno consegnato ad un’hostess e ho viaggiato
fino a Vittel, erano treni a carbone e mi ricordo che in una delle
tante stazioni, di notte, mi hanno passato un cuscino: per me era
una cosa eccezionale e mi hanno adagiato per dormire. Alla stazione
mi aspettava la mamma e una vita totalmente diversa da quella del
mio paese…”
I figli degli emigranti stagionali, nei primi anni di vita rimanevano
nel paese di origine, affidati ai nonni o a cognate. I figli delle
balie, oltre al distacco dalla mamma, pativano anche il passaggio
all’allattamento artificiale. Si creavano così situazioni
difficili da risolvere nel tempo: i bambini si affezionavano alle
persone che li allevavano e non volevano più tornare con i
genitori; gli adulti soffrivano nel lasciare i piccoli a loro affidati,
sofferenze che a volte si trasformavano in rancore e rovinavano le
relazioni parentali.
In parecchi casi emigrava prima il marito e in seguito veniva
raggiunto dalla moglie e dai figli.
Alcuni si sposarono addirittura in treno, come successe a Sappe’
Adolfo e Long Luigia, che celebrano la
loro unione lungo il tragitto Pinerolo – Cannes.
Altri raggiunsero la Francia da soli, non senza qualche peripezia.
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Franco Prinzio,
classe 1930:
“… Il viaggio l’ho
fatto accompagnato da mio padre, con partenza da Villar Perosa:
dovevo prendere il treno verso le quattro e mezzo. Sono salito sul
treno a Pinerolo, sono stato accompagnato col cavallo da mio padre
e puntuali siamo arrivati a Pinerolo, dove mi sono imbarcato. Ho
avuto qualche difficoltà lungo il viaggio: in Italia no,
ma in Francia ho rischiato di perdere il treno, perché ho
visto una fontana in una stazione, probabilmente in quella di Nizza.
Qualcuno mi aveva detto che avevo il tempo di scendere, andare a
bere e tornare: invece quando sono arrivato vicino alla fontana
il treno si è messo in moto. Sono riuscito ad agganciarmi
alla porta … ho rischiato molto. Comunque sono giunto alla
stazione di Marsiglia, la Saint Charles, poi, siccome mi avevano
dato un percorso da seguire, sapevo di dover scendere a Place Carnot,
dove dovevo prendere un tram che andava dove c’erano questi
parenti che mi aspettavano. È andato tutto liscio…”
“… Arrivati in Francia si
poteva contare sull’appoggio di parenti o di connazionali
che in genere avevano già procurato un lavoro e una abitazione
al nuovo venuto e lo aiutavano ad affrontare le prime difficoltà…”
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