Le Valli Chisone e Germanasca Emigrazione nella Prima Metà del 900 Emigrazione nella Seconda Metà del 900 Emigrazione Oggi
Le Valli Chisone e Germanasca Emigrazione nella Prima Metà del 900 Emigrazione nella Seconda Metà del 900 Emigrazione Oggi
Leggi la lettera di Pons Germano
  Dopo il mio lungo ritardo sono a farti la risposta di tua lettera la quale mi fece molto piacere nel sapere...(continua)  
Leggi il racconto di Malvina Ughetto
  “… Alcuni facevano le stagioni, altri si fermavano per anni, come mio padre, e inviavano...(continua)"  
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Leggi il racconto di Alex Berton
  “…Tutte le persone emigranti avevano una “carte de travail”, era un documento che ti consentiva...(continua)"  
Leggi il racconto di Bruno Enrico
  “….Dopo la guerra, quando ormai avevo già tredici, quattordici anni non si trovava lavoro, c’era...(continua)"  
Leggi il racconto di Franco Prinzio
  “Quando ho ricevuto la proposta avevo sedici o diciassette anni, anzi, mi pare diciassette anni, perché...(continua)"  
  Origine dell'Emigrazione e suo sviluppo  
  Il fenomeno dell’ emigrazione dalle nostre Valli in Francia ha origini molto antiche: era presente nell’Ottocento e con ogni probabilità anche prima.
Non si interruppe neanche con la prima guerra mondiale (la Grande Guerra 1914 –1918) perché durante il conflitto i due stati erano alleati.
Nei primi decenni del ‘900 vi era molta emigrazione clandestina. Richiedere tutti i documenti necessari aveva un costo, spesso si aggiungeva un problema di analfabetismo e di scarsa dimestichezza con uffici e pratiche. Con l’aiuto di persone esperte, e probabilmente dietro compenso, si arrivava in Francia passando a piedi per i colli di montagna come il col d’Abries in val Germanasca.
Scrive Pons Germano nel 1927 al fratello rimasto in Italia, a Perrero che vorrebbe raggiungerlo:


 
 
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Trascrizione della Lettera
Reillanne il 30 ottobre 1927
Caro fratello e famiglia

Dopo il mio lungo ritardo sono a farti la risposta di tua lettera la quale mi fece molto piacere nel sapere tutti in salute. Come ve ne posso assicurare di me stesso per il momento. “T” mi dice che saresti dell’idea di venire qua in Francia,, per me mi farebbe piacere se tu potessi venire. Mi dici di farti qualche domanda, ma prima informati te se con una domanda ti fanno il passaporto.
Ora è molto difficile sia in Italia venire, sia qua per fare la domanda se si vuol fare qualche cosa.
Io non so cosa dirti fa a tua idea, qua del lavoro non manca e da un parte o dall’altra. Ora sono qua a Notre Dame sto proprio nella casa non siamo molto distante dal lavoro, il legno è piccolo ma è bene piazzato al sole per l’inverno, ne abbiamo per 7 mesi circa. Allora se proprio quella tua idea di venire quando mi scrivi mi manderai il giorno e il mese e l’anno che sei nato.
Se trovi qualche cosa a fare non puoi fidarti a questa perché sai che non è ancora sicuro con una domanda che tu possa venire Qui bisogna farla e puoi farla firmare al sottoprefetto qua alle Basses Alpes e poi il più bisogna che sia firmata al consolato Italiano a Marsiglia, Tutto decide dalla firma del consolato a Marsiglia che è molto difficile.
Se il colle d’Abries non fosse tanto sorvegliato sarebbe il più facile di farti accompagnare da “Giacapo” di Rodoroetto, io andarei a prenderti al Rus, (Le Roux), ma è meglio non fidarti.
Scrivimi subito come ai idea di fare. Io ti direi se ti trovi del lavoro di prolungare per vedere se le cose si aggiustano un poco.

Pons Germano

 
 
 
 
  Erano viaggi lunghissimi e molto faticosi, per cui le persone non tornavano tutti gli anni, anche se la maggioranza, quando partiva, non intendeva stabilirsi definitivamente in Francia.
In seguito gli emigranti stagionali partivano verso aprile e tornavano a settembre inoltrato, quindi tutto il lavoro dei campi, la cura dei bambini piccoli e degli animali, toccava a chi restava a casa. Era un grosso sacrificio per tutti, giustificato solo da guadagni più consistenti di quelli che si potevano realizzare in patria.
 
     
 
Ingrandisci l'immagine di Roux - Oggi   Le Roux, e Abries, i primi paesi francesi che gli emigranti incontravano scendendo dal col d’Abries   Ingrandisci l'immagine di Abries - Oggi
 
     
 
 
 
  Malvina Ughetto racconta:

“… Alcuni facevano le stagioni, altri si fermavano per anni, come mio padre, e inviavano alla famiglia rimasta in Italia i soldi.
La vita qui (Grandubbione – Pinasca) era molto dura e mia madre si era fatta dei debiti con tutti i parenti, i primi soldi che ricevette da mio padre li usò per pagare proprio queste persone che tra l’altro non la volevano più aiutare…
… In Francia è stato accolto dalla famiglia di mia madrina e si è fermato parecchi anni. Non mi ricordo se tornava tutti gli anni, ma non credo perché allora si spostavano a piedi e il viaggio era lunghissimo. Mi ricordo che la prima volta che l’ho visto ho chiesto a mia madre chi fosse e mi nascondevo dietro le sue gonne. Ci portava un po’ di cioccolato, noi eravamo molto golose. Ogni volta che lui tornava metteva incinta mia madre, poi lei da sola doveva tirare avanti la famiglia, il lavoro nei campi, occuparsi degli animali. Quando avevo 14 anni mio padre non era ancora tornato e io sono andata a lavorare in fabbrica…”

 
 
L’emigrazione clandestina costituiva un problema. In un articolo pubblicato sull’Eco del Chisone, del 25 settembre 1920 si legge riferito al comune di Torre Pellice:
 
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E successivamente nello stesso anno, l’11 novembre, compare un altro articolo, maggiormente legato all’emigrazione oltreoceano.
 
 
 
 
  Con la presa del potere da parte del partito fascista (1922), le relazioni diplomatiche tra Francia e Italia peggiorarono. Il governo francese temeva che Mussolini volesse allargare i confini italiani a danno del proprio stato. Gli emigranti italiani, in alcuni casi, erano guardati con sospetto, i valichi alpini diventarono molto controllati dagli stessi fascisti che proibirono l’emigrazione permanente, tollerando solo quella temporanea. L’emigrazione italiana veniva spesso definita “L’espansione italiana nel mondo”.
Ecco i documenti necessari per l’espatrio nel 1927, tratti da una pagina del “Vademecum dell’emigrante”, curato dal segretariato dell’opera Bonomelli di Reims e alcuni documenti di emigranti:
 
     
 
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Bonomelli 3.JPG Berton Alex 4.jpg Berton Alex 6.jpg Prinzio Franco 2.jpg
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Roventi Beccari Aldo 3.JPG Valetti Marta 7.JPG Valetti Marta 10.JPG
 
 
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  Afferma Alex Berton, classe 1933, pragelatese, figlio di emigranti stagionali:

“…Tutte le persone emigranti avevano una “carte de travail”, era un documento che ti consentiva di lavorare . Alla frontiera bastava il passaporto, ma senza la carta di lavoro non potevi svolgere un’attività riconosciuta, legale. E questa carta non è più stata rinnovata nel dopoguerra e quindi il flusso migratorio è cessato…”

La seconda guerra mondiale, segnerà una brusca interruzione del fenomeno dell’emigrazione, che comunque continuerà a ritmo rallentato ancora nell’immediato dopoguerra, come pure si manifesterà ancora il fenomeno dei clandestini.



 
 
 
 
  Bruno Enrico, classe 1932, di Pinasca racconta:

Ingrandisci l'immagine“… Dopo la guerra, quando ormai avevo già tredici, quattordici anni non si trovava lavoro, c’era poco da fare, mio padre lavorava alla R.I.V.
Voleva però tornare in Francia, perché là si stava meglio, prima della guerra […]
Così siamo partiti: eravamo una squadra nella quale c’era anche gente di Perosa e in questo gruppo c’ero anch’io, avevo 15 anni nel 1947.
Personalmente non ero molto contento di andare, lasciare i miei amici… sono partito malcontento…
Avevamo un contratto con un impresario francese per andar a lavorare là. Se fosse andato tutto bene la mamma e mio fratello ci avrebbero raggiunto.
In Francia ci andammo a piedi e, anche se bisognava essere in regola, noi non avevamo i passaporti: non avevamo i documenti, era tutto clandestino …Passammo da Praly, tutto di nascosto. C’era un tale chiamato “ Monsignore” che sfruttava quelli che andavano in Francia […] : ad uno faceva caricare una fisarmonica, all’altro una macchina da scrivere, ad un altro ancora del riso per avere in cambio del sale…(qui in Piemonte in tempo di guerra c’era il riso, era tesserato ma c’era). [Lui] si occupava di questo, di questo tipo di viaggi… Il colle d’ Abries era stato sempre la strada dei contrabbandieri…”




 
 
 
 
  Il racconto di Franco Prinzio, classe 1930, aggiunge altri particolari.

"… Quando ho ricevuto la proposta avevo sedici o diciassette anni, anzi, mi pare diciassette anni, perché mi sembra fosse quella l’età per avere diritto alla “cart du travaille”, un documento… e così abbiamo deciso.
Prima ci voleva una richiesta dai parenti della Francia, che scrivevano alla Prefettura di Torino dicendo che avevano la possibilità di dar lavoro e che avrebbero garantito vitto, alloggio…
Poi bisognava essere anche in buone relazioni con il maresciallo dei Carabinieri perché era lui che doveva fare l’indagine e poi rispondere alla Prefettura. Tutto è andato abbastanza bene, diciamo benissimo: avevo passaporto e tutto.
Sono riuscito ad avere un permesso di soggiorno per trenta giorni: sono emigrato con l’intento di fermarmi in Francia e trovare un lavoro, e questo non era difficile.
Io sono espatriato regolarmente ma i miei amici di Pinasca e di Dubbione sono tutti emigrati clandestinamente passando da Sestriere, Cesana, Clavriere… Lì c’era un viottolo, che andava al Monginevro: di lì si scendeva a Briançon, si prendeva il treno e si andava chi a Nimes, chi ad Aix-en-Provence, chi a Marsiglia, chi sulla Costa Azzurra… e poi si trovava lavoro.

 
 
 
 
  Pinasca era proprio una zona da cui sono partiti molti emigranti: Gran Dubbione, Pinasca, tutte queste borgate. Gli emigranti di cui io sono a conoscenza erano soprattutto di Pinasca, ma ce n’era anche qualcuno di San Germano, perché nella zona di Marsiglia ci sono anche molti valdesi. Io ho conosciuto dei valdesi, e anche le loro tradizioni: per esempio, il diciassette febbraio, invece di accendere i falò, in tutte le case dove c’erano dei valdesi c’era un lumicino sulla finestra.
Ingrandisci l'immagineNon era facile avere il permesso di soggiorno. C’erano anche dei costi per avere questi documenti, e molta gente, visto che dalle nostre parti non si stava troppo bene, sceglieva l’emigrazione clandestina, che costava molto meno e che dava comunque la stessa garanzia che ha dato a me.
Chi era clandestino veniva impiegato maggiormente in campagna, nei boschi.
Chi invece aveva intenzione di orientarsi sull’industria doveva fornirsi di un permesso di soggiorno, perché senza quel documento non veniva rilasciata la “cart du travail”.

 
 
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