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Dopo il mio lungo ritardo sono a farti
la risposta di tua lettera la quale mi fece molto piacere nel sapere...(continua) |
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“… Alcuni facevano le stagioni, altri
si fermavano per anni, come mio padre, e inviavano...(continua)" |
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In questa sottosezione puoi visitare la Gallery dei
Documenti degli Emigranti |
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“…Tutte le persone emigranti avevano una
“carte de travail”, era un documento che ti consentiva...(continua)" |
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“….Dopo la guerra, quando ormai avevo
già tredici, quattordici anni non si trovava lavoro, c’era...(continua)" |
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“Quando ho ricevuto la proposta avevo sedici
o diciassette anni, anzi, mi pare diciassette anni, perché...(continua)" |
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Origine dell'Emigrazione e suo sviluppo |
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Il fenomeno dell’ emigrazione dalle nostre Valli
in Francia ha origini molto antiche: era presente nell’Ottocento
e con ogni probabilità anche prima.
Non si interruppe neanche con la prima guerra mondiale (la Grande
Guerra 1914 –1918) perché durante il conflitto i due
stati erano alleati.
Nei primi decenni del ‘900 vi era molta emigrazione clandestina.
Richiedere tutti i documenti necessari aveva un costo, spesso si aggiungeva
un problema di analfabetismo e di scarsa dimestichezza con uffici
e pratiche. Con l’aiuto di persone esperte, e probabilmente
dietro compenso, si arrivava in Francia passando a piedi per i colli
di montagna come il col d’Abries in val Germanasca.
Scrive Pons Germano
nel 1927 al fratello rimasto in Italia, a Perrero che vorrebbe raggiungerlo:
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Trascrizione della Lettera |
Reillanne
il 30 ottobre 1927 |
Caro fratello e famiglia
Dopo il mio lungo ritardo sono a farti la risposta di
tua lettera la quale mi fece molto piacere nel sapere
tutti in salute. Come ve ne posso assicurare di me stesso
per il momento. “T” mi dice che saresti
dell’idea di venire qua in Francia,, per me mi
farebbe piacere se tu potessi venire. Mi dici di farti
qualche domanda, ma prima informati te se con una domanda
ti fanno il passaporto.
Ora è molto difficile sia in Italia venire, sia
qua per fare la domanda se si vuol fare qualche cosa.
Io non so cosa dirti fa a tua idea, qua del lavoro non
manca e da un parte o dall’altra. Ora sono qua
a Notre Dame sto proprio nella casa non siamo molto
distante dal lavoro, il legno è piccolo ma è
bene piazzato al sole per l’inverno, ne abbiamo
per 7 mesi circa. Allora se proprio quella tua idea
di venire quando mi scrivi mi manderai il giorno e il
mese e l’anno che sei nato.
Se trovi qualche cosa a fare non puoi fidarti a questa
perché sai che non è ancora sicuro con
una domanda che tu possa venire Qui bisogna farla e
puoi farla firmare al sottoprefetto qua alle Basses
Alpes e poi il più bisogna che sia firmata al
consolato Italiano a Marsiglia, Tutto decide dalla firma
del consolato a Marsiglia che è molto difficile.
Se il colle d’Abries non fosse tanto sorvegliato
sarebbe il più facile di farti accompagnare da
“Giacapo” di Rodoroetto, io andarei a prenderti
al Rus, (Le Roux), ma è meglio non fidarti.
Scrivimi subito come ai idea di fare. Io ti direi se
ti trovi del lavoro di prolungare per vedere se le cose
si aggiustano un poco.
Pons Germano
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Erano viaggi lunghissimi e molto faticosi, per cui
le persone non tornavano tutti gli anni, anche se la maggioranza,
quando partiva, non intendeva stabilirsi definitivamente in Francia.
In seguito gli emigranti stagionali partivano verso aprile e tornavano
a settembre inoltrato, quindi tutto il lavoro dei campi, la cura dei
bambini piccoli e degli animali, toccava a chi restava a casa. Era
un grosso sacrificio per tutti, giustificato solo da guadagni più
consistenti di quelli che si potevano realizzare in patria.
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Le Roux, e Abries, i primi paesi francesi che
gli emigranti incontravano scendendo dal col d’Abries |
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Malvina Ughetto
racconta: “… Alcuni
facevano le stagioni, altri si fermavano per anni, come mio padre,
e inviavano alla famiglia rimasta in Italia i soldi.
La vita qui (Grandubbione – Pinasca) era molto dura e mia madre
si era fatta dei debiti con tutti i parenti, i primi soldi che ricevette
da mio padre li usò per pagare proprio queste persone che tra
l’altro non la volevano più aiutare…
… In Francia è stato accolto dalla famiglia di mia madrina
e si è fermato parecchi anni. Non mi ricordo se tornava tutti
gli anni, ma non credo perché allora si spostavano a piedi
e il viaggio era lunghissimo. Mi ricordo che la prima volta che l’ho
visto ho chiesto a mia madre chi fosse e mi nascondevo dietro le sue
gonne. Ci portava un po’ di cioccolato, noi eravamo molto golose.
Ogni volta che lui tornava metteva incinta mia madre, poi lei da sola
doveva tirare avanti la famiglia, il lavoro nei campi, occuparsi degli
animali. Quando avevo 14 anni mio padre non era ancora tornato e io
sono andata a lavorare in fabbrica…”
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L’emigrazione clandestina
costituiva un problema. In un articolo pubblicato sull’Eco
del Chisone, del 25 settembre 1920 si legge riferito al
comune di Torre Pellice: |
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E successivamente nello stesso
anno, l’11 novembre, compare un altro articolo,
maggiormente legato all’emigrazione oltreoceano. |
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Con la presa del potere da parte del partito fascista
(1922), le relazioni diplomatiche tra Francia e Italia peggiorarono.
Il governo francese temeva che Mussolini volesse allargare i confini
italiani a danno del proprio stato. Gli emigranti italiani, in alcuni
casi, erano guardati con sospetto, i valichi alpini diventarono molto
controllati dagli stessi fascisti che proibirono l’emigrazione
permanente, tollerando solo quella temporanea. L’emigrazione
italiana veniva spesso definita “L’espansione italiana
nel mondo”.
Ecco i documenti necessari per l’espatrio nel 1927, tratti da
una pagina del “Vademecum dell’emigrante”, curato
dal segretariato dell’opera Bonomelli di Reims e alcuni documenti
di emigranti:
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Bonomelli 3.JPG |
Berton Alex 4.jpg |
Berton Alex 6.jpg |
Prinzio Franco 2.jpg |
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Roventi Beccari Aldo 3.JPG |
Valetti Marta 7.JPG |
Valetti Marta 10.JPG |
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Clicca
sulle immagini per ingrandirle |
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Afferma Alex Berton,
classe 1933, pragelatese, figlio di emigranti stagionali:
“…Tutte
le persone emigranti avevano una “carte de travail”,
era un documento che ti consentiva di lavorare . Alla frontiera
bastava il passaporto, ma senza la carta di lavoro non potevi svolgere
un’attività riconosciuta, legale. E questa carta non
è più stata rinnovata nel dopoguerra e quindi il flusso
migratorio è cessato…”
La seconda guerra mondiale, segnerà una brusca
interruzione del fenomeno dell’emigrazione, che comunque continuerà
a ritmo rallentato ancora nell’immediato dopoguerra, come
pure si manifesterà ancora il fenomeno dei clandestini.
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Bruno Enrico,
classe 1932, di Pinasca racconta:
“…
Dopo la guerra, quando ormai avevo già tredici, quattordici
anni non si trovava lavoro, c’era poco da fare, mio padre
lavorava alla R.I.V.
Voleva però tornare in Francia, perché là si
stava meglio, prima della guerra […]
Così siamo partiti: eravamo una squadra nella quale c’era
anche gente di Perosa e in questo gruppo c’ero anch’io,
avevo 15 anni nel 1947.
Personalmente non ero molto contento di andare, lasciare i miei
amici… sono partito malcontento…
Avevamo un contratto con un impresario francese per andar a lavorare
là. Se fosse andato tutto bene la mamma e mio fratello ci
avrebbero raggiunto.
In Francia ci andammo a piedi e, anche se bisognava essere in regola,
noi non avevamo i passaporti: non avevamo i documenti, era tutto
clandestino …Passammo da Praly, tutto di nascosto. C’era
un tale chiamato “ Monsignore” che sfruttava quelli
che andavano in Francia […] : ad uno faceva caricare una fisarmonica,
all’altro una macchina da scrivere, ad un altro ancora del
riso per avere in cambio del sale…(qui in Piemonte in tempo
di guerra c’era il riso, era tesserato ma c’era). [Lui]
si occupava di questo, di questo tipo di viaggi… Il colle
d’ Abries era stato sempre la strada dei contrabbandieri…”
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Il racconto di Franco
Prinzio, classe 1930,
aggiunge altri particolari.
"… Quando ho ricevuto la proposta
avevo sedici o diciassette anni, anzi, mi pare diciassette anni,
perché mi sembra fosse quella l’età per avere
diritto alla “cart du travaille”, un documento…
e così abbiamo deciso.
Prima ci voleva una richiesta dai parenti della Francia, che scrivevano
alla Prefettura di Torino dicendo che avevano la possibilità
di dar lavoro e che avrebbero garantito vitto, alloggio…
Poi bisognava essere anche in buone relazioni con il maresciallo
dei Carabinieri perché era lui che doveva fare l’indagine
e poi rispondere alla Prefettura. Tutto è andato abbastanza
bene, diciamo benissimo: avevo passaporto e tutto.
Sono riuscito ad avere un permesso di soggiorno per trenta giorni:
sono emigrato con l’intento di fermarmi in Francia e trovare
un lavoro, e questo non era difficile.
Io sono espatriato regolarmente ma i miei amici di Pinasca e di
Dubbione sono tutti emigrati clandestinamente passando da Sestriere,
Cesana, Clavriere… Lì c’era un viottolo, che
andava al Monginevro: di lì si scendeva a Briançon,
si prendeva il treno e si andava chi a Nimes, chi ad Aix-en-Provence,
chi a Marsiglia, chi sulla Costa Azzurra… e poi si trovava
lavoro. |
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Pinasca era proprio una
zona da cui sono partiti molti emigranti: Gran Dubbione, Pinasca,
tutte queste borgate. Gli emigranti di cui io sono a conoscenza erano
soprattutto di Pinasca, ma ce n’era anche qualcuno di San Germano,
perché nella zona di Marsiglia ci sono anche molti valdesi.
Io ho conosciuto dei valdesi, e anche le loro tradizioni: per esempio,
il diciassette febbraio, invece di accendere i falò, in tutte
le case dove c’erano dei valdesi c’era un lumicino sulla
finestra.
Non
era facile avere il permesso di soggiorno. C’erano anche dei
costi per avere questi documenti, e molta gente, visto che dalle nostre
parti non si stava troppo bene, sceglieva l’emigrazione clandestina,
che costava molto meno e che dava comunque la stessa garanzia che
ha dato a me.
Chi era clandestino veniva impiegato maggiormente in campagna, nei
boschi.
Chi invece aveva intenzione di orientarsi sull’industria doveva
fornirsi di un permesso di soggiorno, perché senza quel documento
non veniva rilasciata la “cart du travail”.
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